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L'ultimo battiloro di Venezia: quando la creatività non può essere automatizzata

La storia dell'ultimo artigiano che batteva l'oro a mano in Europa: Marino Menegazzo
Menegazzo, l'ultimo battiloro d'Europa

C'è una storia che mi ha colpito profondamente, perché racchiude tutto quello che questo blog cerca di raccontare: la resistenza della manualità contro l'omologazione industriale, la bellezza di un gesto ripetuto migliaia di volte fino alla perfezione, la fragilità di saperi antichi che rischiano di sparire non per mancanza di valore, ma per mancanza di pazienza.

Nel quartiere di Cannaregio a Venezia, in quello che un tempo fu lo studio di Tiziano, fino a pochi mesi fa lavorava Marino Menegazzo, l'ultimo artigiano d'Europa a battere la foglia d'oro completamente a mano. Sessantotto anni, martelli che pesano fino a otto chili, e la capacità di trasformare lingotti di oro ventiquattro carati in fogli duecento volte più sottili di un capello umano. Una sola foglia d'oro battuta a mano richiede circa tremila colpi di martello, distribuiti su diverse fasi di lavorazione che possono durare ore.

Il ritmo del martello che danza

Quello che mi affascina del lavoro di Menegazzo non è solo la tecnica in sé, ma il rapporto fisico, quasi coreografico, che l'artigiano sviluppa con i suoi strumenti. Quattro martelli di peso diverso, uno per ogni fase della lavorazione. Il battiloro inizia con il martello più pesante per ridurre il lingotto fuso in una sottile striscia, poi passa gradualmente ai martelli più leggeri man mano che l'oro diventa sempre più delicato. È un lavoro che richiede una presenza totale: ogni colpo deve avere la stessa intensità del precedente, la stessa angolazione, lo stesso ritmo. Un momento di distrazione e la foglia si strappa.

Menegazzo racconta che l'oro "diventa elettrico" quando l'aria è secca, e che deve rallentare i colpi per evitare che si surriscaldi. Ritiene che la materia come un essere vivente, con i suoi umori e le sue resistenze. Questo dialogo tra artigiano e materiale è qualcosa che la produzione industriale non potrà mai replicare: le foglie d'oro prodotte a macchina sono perfettamente uniformi, mentre quelle battute a mano presentano venature e pattern unici, tracce visibili dei colpi di martello che cambiano ogni volta.

L'eredità che nessuno vuole raccogliere

La parte più struggente di questa storia è che Menegazzo ha dovuto chiudere la sua bottega non per mancanza di lavoro, ma per l'impossibilità di trovare un nuovo locale adatto dopo che il proprietario dell'edificio ha deciso di vendere. Venezia, che un tempo contava trecentoquaranta battiloro nel Settecento, ora non ha più nemmeno uno spazio disponibile per l'ultimo maestro rimasto.

Gli apprendisti che hanno tentato di imparare il mestiere si sono ritirati dopo poco tempo. "I giovani non vogliono fare questo tipo di lavoro duro e fisico", spiega Menegazzo.

"Imparare da un maestro richiede molta paziente e perseveranza."

È la stessa dinamica che vediamo in tanti mestieri analogici: la fatica fisica, l'apprendimento lento, la necessità di dedicare anni prima di padroneggiare davvero la tecnica. Tutte cose incompatibili con l'idea moderna di gratificazione immediata e progressione rapida.

Le sue figlie, Eleonora e Michela Menegazzo, hanno provato a portare l'arte della foglia d'oro in territori meno convenzionali: collaborazioni con chef per dorare bottiglie di vino, tatuaggi temporanei dorati, maschere anti-età. "Nuove applicazioni sono vitali", dice Eleonora, "perché dobbiamo dimostrare che il nostro mestiere non è solo parte del passato di Venezia, ma anche del suo futuro."

Cosa manca quando perdiamo un mestiere

Questo tipo di sapere non si trova nei manuali. Non può essere digitalizzato in un tutorial video. Richiede tempo, ripetizione, fallimenti, e soprattutto la presenza fisica di un maestro che osserva, corregge, incoraggia. È l'esatto opposto della cultura del "life hack" e del "learn anything in 10 minutes" che domina internet.

Mi viene in mente il parallelo con altre pratiche analogiche che raccontiamo su questo blog. Quando impariamo a scrivere con la stilografica, all'inizio le dita non trovano naturalmente l'angolazione corretta, l'inchiostro sbava, la pressione è troppo forte o troppo debole. È frustrante. Ma dopo settimane di pratica quotidiana, la penna diventa un'estensione naturale della mano. Lo stesso vale per chi inizia a suonare uno strumento musicale, o per chi si dedica al disegno dal vero: la competenza si costruisce attraverso la ripetizione consapevole, non attraverso scorciatoie.

La bellezza delle imperfezioni irripetibili

C'è un dettaglio che Menegazzo sottolinea quando confronta il suo lavoro con le foglie d'oro prodotte industrialmente e che rende preziosa l'opera artigianale:

"Alla luce, le nostre foglie hanno venature, pattern che vengono dai colpi del martello, che variano ogni volta."

Nell'epoca della riproducibilità perfetta, dove possiamo stampare migliaia di copie identiche di qualsiasi cosa, l'imperfezione controllata diventa un valore. Non si tratta di difetti casuali, ma di tracce di presenza umana: ogni foglia d'oro battuta da Menegazzo porta impresso il ritmo della sua giornata, lo stato d'animo di quel particolare momento, le condizioni atmosferiche di quel giorno specifico.

Creatività che resiste alla velocità

La vicenda di Menegazzo fa riflettere sul rapporto tra creatività e tempo. Viviamo in un'era che celebra la velocità di esecuzione: quanto rapidamente riesci a produrre un contenuto, a completare un progetto, a lanciare un prodotto. Ma alcune forme di creatività semplicemente non possono essere accelerate senza perdere la loro essenza.

Questo vale per molte pratiche analogiche che abbiamo esplorato insieme su queste pagine. Non puoi accelerare artificialmente il processo di apprendimento della calligrafia: la tua mano deve costruire la memoria muscolare attraverso la ripetizione. Non puoi saltare le ore di ascolto attento quando impari a suonare uno strumento. Non puoi comprimere in un weekend il lavoro di osservazione paziente che richiede il disegno dal vero.

La lentezza, in questi contesti, non è un limite da superare ma una condizione necessaria per la qualità. È il contrario della logica produttivista che domina il mondo digitale, per la quale "move fast and break things" è considerato un mantra virtuoso.

Preservare non solo gli oggetti, ma i gesti

Le figlie di Menegazzo stanno esplorando nuove applicazioni per la foglia d'oro, e questo è importante.

Quando un mestiere scompare, non perdiamo solo la capacità di produrre certi oggetti, ma perdiamo anche un modo particolare di stare al mondo. Il battiloro non è solo qualcuno che produce foglie d'oro: è qualcuno che ha sviluppato una relazione profonda con la materia, che ha imparato a sincronizzare il ritmo del suo corpo con le necessità del materiale, che ha coltivato quella forma particolare di attenzione sostenuta che richiede un lavoro manuale di precisione.

Questo tipo di presenza è esattamente ciò che le pratiche di digital detox cercano di recuperare: la capacità di concentrarsi completamente su un'attività fisica, di leggere i feedback sottili del mondo reale invece che affidarsi a notifiche e metriche digitali, di trovare soddisfazione in un processo lento invece che in risultati immediati.

Il paradosso della modernità artigianale

Mentre Menegazzo chiude la sua bottega a Venezia, nuove generazioni di maker e artigiani digitali stanno riscoprendo il valore del lavoro manuale. Vedo questa tendenza nei giovani che si iscrivono a corsi di ceramica, falegnameria, legatoria. C'è una fame di manualità che la saturazione digitale ha paradossalmente intensificato.

Il problema non è la mancanza di interesse verso i mestieri artigianali, ma la difficoltà di renderli economicamente sostenibili in un contesto urbano come Venezia, dove gli affitti sono proibitivi e gli spazi di lavoro scarseggiano. Menegazzo non ha chiuso per mancanza di clienti: i suoi fogli d'oro venivano utilizzati per restaurare monumenti storici, creare opere d'arte contemporanea, decorare oggetti di lusso. Ha chiuso perché la città stessa non riesce più a fare spazio ai mestieri che l'hanno resa celebre.

È una contraddizione stridente: Venezia vive del turismo attratto dalla sua bellezza storica, ma quella bellezza è stata creata proprio dagli artigiani che ora non trovano più posto in città. L'oro che ricopre l'Arcangelo Gabriele sulla cima del campanile di San Marco è stato battuto a mano da Menegazzo, ma la città non è riuscita a trovare uno spazio per permettergli di continuare a lavorare.

Cosa possiamo fare noi

Questa storia potrebbe sembrare solo una cronaca malinconica di declino inevitabile. Ma credo che contenga anche indicazioni concrete per chi, come noi lettori di questo blog, valorizza le pratiche analogiche.

Prima di tutto, possiamo scegliere consapevolmente di acquistare prodotti artigianali quando possibile. Non si tratta di nostalgia reazionaria, ma di riconoscere un valore tangibile nella qualità manifatturiera.

Secondo, possiamo dedicare tempo ad apprendere un mestiere manuale, anche solo come hobby. Non è necessario diventare maestri battiloro: basta imparare a riparare i nostri oggetti invece che sostituirli, coltivare la pazienza necessaria per progetti che richiedono settimane o mesi, sviluppare quella particolare forma di concentrazione che nasce dal lavoro delle mani.

Terzo, possiamo raccontare queste storie e celebrare chi continua a praticare mestieri analogici. L'attenzione è una risorsa scarsa nell'economia digitale, e possiamo scegliere di dirigerla verso contenuti che valorizzano la manualità, la lentezza, la maestria artigianale.

L'eredità oltre la bottega

Anche se la bottega di Menegazzo ha chiuso, i suoi martelli verranno preservati al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. È un'eredità importante, ma anche tremendamente malinconica: gli strumenti di un mestiere vivo diventano reperti museali, testimonianze di un passato ormai concluso.

Eppure c'è qualcosa che sopravvive oltre gli oggetti fisici: l'esempio di una vita dedicata alla maestria, l'immagine di quelle mani che battono l'oro con ritmo ipnotico, la dimostrazione concreta che esistono forme di creatività che non possono essere automatizzate, velocizzate, digitalizzate.

Ogni volta che scegliamo la complessità analogica invece della convenienza digitale, quando preferiamo un processo lento ma significativo a un risultato immediato ma superficiale, quando accettiamo che alcune cose richiedono semplicemente tempo e presenza fisica, stiamo in qualche modo onorando quella tradizione.

Menegazzo non ha trovato apprendisti disposti a imparare il suo mestiere, ma forse ha lasciato qualcosa di altrettanto prezioso: la testimonianza vivente che in un mondo ossessionato dalla velocità e dall'efficienza, esistono ancora persone disposte a dedicare decenni a perfezionare un gesto, a mantenere viva una tradizione, a produrre bellezza attraverso la ripetizione paziente.

E forse, in questa storia di un mestiere che scompare, possiamo trovare la motivazione per preservare e coltivare le nostre piccole pratiche analogiche quotidiane: quella mezz'ora mattutina dedicata alla scrittura con la stilografica, le sere passate a suonare la chitarra acustica, la lettura di un bel libro, il ritrovarsi attorno a un tavolo per giocare insieme. Non sono gesti che cambieranno il mondo, ma sono modi di resistere alla velocità compulsiva, di coltivare forme di attenzione che il digitale tende a erodere.